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YUSUF-I HAMADAN

Se ammettiamo che esistano ancora posti inesplorati nel mondo, allora dovremmo anche accettare l’esistenza di quegli spazi interiori totalmente lontani dalla traiettoria artistica della vendita e del consumo. Yusuf-i Hamadan ne è un esempio.

A partire dalla sua fisiognomica che rifugge la visibilità dell’iconico, l’artista non appare ma preferisce concretizzarsi nella creazione, in quei simulacri fuorusciti dalle sue pennellate pastose donanti sostanza all’incorporea natura del suo messaggio. Così, quei pochi che lo conoscono, presumono abbia all’incirca settanta anni: Yusuf-i non ha mai rivelato loro simili informazioni e del resto l’età non è rilevante per chi, sin da principio, non è minimamente interessato ad entrare nel competitivo e gaudente Sistema dell’Arte.

La linea orizzontale viene dunque ribaltata a favore di una vita condotta verso l’ascensionalità che - equilibrata tra un basso e un alto, tra un dentro e un fuori - si riflette, nello specifico, in una quotidianità vocata al Sacro e all’Ordine. Hamadan vive nella sua tenda nel deserto Dasht-e Kavir e, sfruttando quel metronomo naturale che è il ciclo solare, organizza le sue giornate in piena assialità con l’Universo e con il Divino.

 

Nato in una famiglia di pastori, viene cresciuto secondo i precetti Sufi fino a diventare Maestro. Sempre circondato da seguaci, o meglio, allievi; funzionalizza la sua esistenza all’Altro nella pratica solitaria e di gruppo, tra meditazione e insegnamento. E all’interno di quest’ultimo ricade l’esercizio artistico professato in due settori: nell’artigiana orditura di tappetti e nella realizzazione di vere e proprie opere d’arte. Così se da un lato la prima, tra un filo e un nodo, diviene riflesso di una spontanea ricerca spirituale dell’ordine; dall’altro, come una sorta di Biblia Pauperum, l’iconico e sacro simbolismo racconta il graduale e catartico accesso allo Spirito. Infatti, nelle pitture su tela, Yusuf-i organizza spazialità dall’apparente in-sostanza in cui sospende delle porte che aprono in un Altrove esistenziale così luminosamente alterato dal piombo – ‘materiale dal forte statuto alchemico’, dice lui – da attirarvi lo sguardo, se non addirittura da risvegliare la volontà di entrarvi dentro. Tale stimolo all’attivazione motoria dell’Anima, è il fine ultimo della Parabola di Hamadan che mostra in maniera sincera la sottile zona liminale tra Materia e Spirito; e profetizza – solo per chi sa cogliere – un ormai urgente distacco dalla Materia, o quantomeno una riorganizzazione gerarchica tra i due poli.

 

Ecco allora che a livello linguistico visivo, i materiali come la creta, lo stucco e il pigmento fanno da controcanto all’ariosa ma al contempo criptica atmosfera dei dipinti che - come visibile nella scelta delle opere e nella loro disposizione nella Small Cube Gallery – investe o si libera in tutte le direzioni: dall’orizzontale al verticale secondo un doppio vertice. Di fatto, all’ascensionalità facilmente ravvisabile nel piccolo monaco rivolto dal basso verso l’alto con le braccia aperte come a fare da eco alle ante della porta o, ancor meglio, visibile nella Piramide; si coglie tuttavia a ben vedere un assecondare la levazione da parte di una forza del Sopra: un movimento a spirale il quale senso rotatorio non è chiaro.

Del resto, solo con il bilanciamento tra due spinte o solo con il mutuo soccorso, l’aiuto e il supporto possono essere raggiunti stati di coscienza divini e vitali garanti di una pace necessaria per il ritorno nel mondo della Materia, diretta discendenza della Spirito. 

Ecco che allora l’assenso ricevuto dal Maestro Yusuf-i Hamadan di esporre le sue opere trova motivazione non tanto nell’estetico bagliore dell’evidente bellezza delle sue visioni ma nel Sacro messaggio di un’Esistenza connettiva i suoi simili, da Oriente a Occidente.

 

 

©Arianna Bettarelli, 2019

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